L'ACACIA

Firenze, 02 Febbraio 2002
Lavoro prodotto dal Ven.Fr. R.R.

L’ ACACIA  

Quando, stanchissimo, un Maestro si aggrappò ad un ramo di acacia questo, con sua grande meraviglia, gli rimase in mano, perché era solamente conficcato in una terra rimossa da poco…..

E’ così che troviamo l’acacia nel nostro viaggio iniziatico e da qui cominciamo ad analizzarne i significati simbolici.

Se è vero, come credo sia vero, che il simbolo è riscontro di forme visibili allo scopo di mostrare cose invisibili, mai, come nel caso dell’acacia, la nostra ricerca può essere più ricca di interpretazioni.

Il simbolismo è una vera scienza che ha le sue regole precise e in Massoneria esso è onnipresente; attraverso di esso noi giungiamo all'esoterismo, ma nessuno di noi deve commettere l’errore, interpretando i simboli, di pretendere di essere il solo depositario del loro significato, essendo l’arte dell’interpretazione commisurabile alla cultura, alla saggezza, alla sensibilità dell’individuo e configurandosi questa presunzione come un’enunciazione di verità che, per il fatto stesso di essere messa in parole, non può essere la verità nella sua più alta natura né la verità nella sua essenza, giacché essa è al di là delle parole e anche dello stesso pensiero (Lao-Tze).

Per cui di tutte le interpretazioni che possiamo dare dell’acacia come emblema, non dobbiamo farne delle definizioni assiomatiche, ma considerarle semplicemente il risultato di singolari ricerche e personali riflessioni che possano contribuire ad arricchire la semantica di questo simbolo cardine della palingenesi a Maestro Libero Muratore.

Il termine acacia è una parola greca composta da alfa privativo e kakòn che significa “male”, per cui possiamo etimologicamente interpretarla come “assenza di male”, cioè “bene, purezza, innocenza”.

Come pianta l’acacia, grazie alla sua resistenza all’essiccamento, è il simbolo della speranza nell’immortalità dell’anima; fra le altre accezioni e nelle sue varie specie, essa si chiama anche mimosa del deserto, poiché la persistenza del suo verde manifesta un’inestinguibile potenza vitale.

Si dice che l’Arca dell’Alleanza fosse costruita di legno d’acacia e la tradizione vuole che la corona dell’ “Ecce Homo” fosse fatta dei suoi rami spinosi: e queste spine sembrano rappresentare, nel simbolismo solare cristico, i raggi luminosi oltre ad essere un pegno di resurrezione e di immortalità, cioè il simbolo di quella rinascita che ogni iniziato deve attuare per se stesso grazie al superamento delle passioni umane.

Infatti per gli antichi l’acacia era un emblema solare, così come le foglie del loto e dell’eliotropio: le sue foglie si aprono ai raggi del sole nascente e si chiudono quando esso sparisce all’orizzonte e il suo fiore, coperto di peluria, sembra imitare il disco raggiato di questo astro. Gli Egizi e gli Arabia lo consacrarono al dio del giorno e ne fecero uso nei sacrifici che gli offrivano sfruttando anche il suo soave profumo simbolo dell’inebriamento mistico.

Finora abbiamo visto interpretazioni dell’acacia coincidenti con l’innocenza, con l’incorruttibilità, con la luce solare. Ma il Wirth dice anche che essa è l’emblema della “certezza” e della “sicurezza” poiché per mezzo dei suoi fiori gialli, rappresenta l’oro, l’elemento nobile in cui viene trasformato il vile metallo nel processo alchemico dell’iniziazione; questa, nel linguaggio esoterico, è la vera pietra filosofale che, grazie alla “Parola ritrovata”, permette a Hiram, così come a Osiride e al Cristo, di morire solo simbolicamente impedendo la dissoluzione dell'essere e determinandone la trasformazione verso il traguardo della Vera Luce.

Conoscere l’acacia, come il Fratello Maestro, vuol dire possedere le nozioni necessarie alla scoperta del segreto, per assimilare il quale l’iniziato deve far rivivere la saggezza morta, quella saggezza che è simbolicamente rappresentata dal Maestro ucciso dall’ignoranza, dalla prepotenza e dall’intolleranza.

Lo strumento per arrivare a questa scoperta è la ricerca che per un iniziato, uomo di desiderio, non conosce fine e che molto spesso è rivolta in ogni direzione, verso gli sbocchi di ogni più vasto sapere; ma il più delle volte essa frutta un illusorio successo fatto di conoscenze nuove più nell’apparenza che nella sostanza, fatto più di sapienza che di quella saggezza che si va ricercando.

Non è opportuno abbandonarci alla chimera della conoscenza profana, utile strumento, ma non fine; dobbiamo piuttosto ascoltare la voce dell’anima che ci indicherà la strada per arrivare a quel ramoscello d’acacia semplicemente conficcato in una terra rimossa da poco……

E nella cerimonia di elevazione al terzo grado l’acacia ci indica la strada per giungere all’auspicata saggezza iniziatica. E’ una strada irta di difficoltà che il Compagno d’Arte deve percorrere alla ricerca di quel perfezionamento che raggiungerà divenendo Maestro: è come se egli dovesse ricostituire la perfezione edenica distrutta dalla gelosia del demiurgo per mezzo della punizione biblica, per cui venne a crearsi quel meraviglioso, suggestivo gioco del simbolismo binario dove cielo e terra, luce e tenebra, bianco e nero, sole e luna, uomo e donna rappresentano, in definitiva, l’androgino: l’essere perfetto al quale ciascuno in cuor suo tende e al quale difficilmente giunge poiché commette l’errore di cercarlo fuori di sé, mentre la via iniziatica, attraverso l’acacia, insegna, a coloro che sanno vedere, in quale direzione volgere lo sguardo e cioè dentro se stesso. 

Un poeta ha detto: 

“Noi non cesseremo mai di ricercare

E la fine di tutte le nostre ricerche

Sarà di arrivare al punto di partenza

E di scoprire quel luogo per la prima volta”.

(T.S.Elliot. The four quartets).

 Lavoro prodotto dal Ven. Fr. R . R . della Loggia S. Galgano n. 106

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